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Red 29 luglio 2018
Scoperta una strada romana a Siligo
Scoperti 16metri di strada romana in località Mesumundu, nelle campagne di Siligo, durante gli scavi della Scuola estiva internazionale di archeologia dell’Università degli studi di Sassari


SASSARI - Un tratto di strada romana lungo oltre 16metri è la straordinaria scoperta avvenuta in questi giorni a Mesumundu, nelle campagne di Siligo. La strada romana era sepolta da una spessa coltre di terreno agricolo ed è stata identificata, dopo quattro settimane di scavi archeologici della Scuola estiva internazionale di Archeologia medievale dell’Università degli studi di Sassari, diretti da Marco Milanese, ordinario di Archeologia e direttore del Dipartimento di Storia, scienze dell’uomo e della formazione dell’Ateneo. «Il lastricato stradale portato in luce è uno dei rari segmenti di strada romana della Sardegna, datato con certezza all’età romana imperiale, grazie allo scavo archeologico: potrebbe trattarsi di una deviazione, una sorta di svincolo, in direzione di Ardara, che si staccava dall’asse principale della viabilità romana della Sardegna, da Cagliari verso Porto Torres, la colonia di Turris Libisonis», afferma Milanese. Il luogo del ritrovamento coincide con il tracciato della strada Carlo Felice e pertanto dell’attuale Strada statale 131 e rappresenta una conferma ed un arricchimento importante per il territorio, che riceve significati ed una certificazione della viabilità romana, ad oggi solo oggetto di ipotesi.

Il Meilogu, ed in particolare la zona tra Monte Santo e Monte Pelao, è un’area di particolare interesse per la viabilità romana della Sardegna, anche per il raccordo con la strada per Olbia, ma ad oggi non era noto alcun tratto di strada sicuramente databile all’Età romana. La strada è stata ritrovata durante gli scavi delle aree adiacenti la piccola chiesa bizantina di Santa Maria di Mesumundu, oggetto da alcuni anni di scavi archeologici mirati a far luce sull’insediamento romano precedente l’epoca bizantina; l’insediamento consiste in un complesso termale (alimentato da un piccolo acquedotto) di una probabile stazione di servizio, per le necessità dei funzionari imperiali in viaggio ed anche per i viaggiatori comuni. Sulla carreggiata, una moneta del 350 d.C. circa, probabilmente dell’Imperatore Costanzo II, venne persa da un viaggiatore nel IV secolo d.C. o anche successivamente e testimonia l’utilizzo della strada in età tardo-romana, che fu percorsa ancora per numerosi secoli e forse addirittura nel pieno Medioevo. Il ritrovamento permette di osservare nel dettaglio le modalità costruttive: la strada era larga circa 4metri e consentiva dunque il passaggio dei carri, in origine era pavimentata con pietre dalla superficie piatta, assicurate su un sottofondo compatto di macerie pressate, utili per permettere il drenaggio dalle acque e mantenere asciutta la carreggiata.

Molte pietre del lastricato sono state asportate per successivi riutilizzi e pertanto la strada ha assunto un aspetto di pista. Questo può essere avvenuto a partire dal V secolo d.C.; infatti, si sa che fino al III ed al IV secolo d.C., la viabilità romana della Sardegna fu oggetto di continui restauri ed opere di manutenzione, mentre in seguito queste non furono più garantite, a causa del collasso del sistema imperiale; la strada ritrovata a Mesumundu fotografa pertanto proprio questa crisi e la resilienza, ovvero la capacità di continuare ad utilizzare la strada, nonostante l’esaurimento di ogni possibilità di manutenzione. Lo scavo, sotto la sorveglianza della Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Sassari e Nuoro, è diretto da Marco Milanese e coordinato da Maria Cherchi e da Alessandra Deiana, archeologhe dell’Università di Sassari, coadiuvate da Giancarlo Deruda, Nicola Scanu, Claudia Nieddu, Angela Murtas, Alberto Vitolo e Maria Luisa Bacciu e con la partecipazione di numerosi studenti di archeologia dell’Università di Sassari e delle Università di Barcellona, Granada, Madrid e Valencia, mentre la responsabilità del settore antropologico è affidata ad Anna Bini dell’Università di Sassari.
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