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Red 22 luglio 2017
Alghero, quando i catalani ci insegnarono a innestare
Il volto di una città costiera dalla grande vocazione agricola è stato tracciato durante il primo workshop di Liber y Liber nella sala conferenze di Lo Quarter


ALGHERO – Non solo città di pescatori, ma sede di un importante patrimonio agricolo con pochi raffronti in Sardegna, ideale per la produzione di ottimi vini ed oli di qualità. È questa la positiva immagine di Alghero emersa durante il primo workshop di “Liber y Liber” dal titolo “Alghero tra mare e terra nel cibo tradizionale”, organizzato ieri (venerdì) dall’Aes nella Sala conferenze di Lo Quarter. È il volto di una vivace città costiera dalle mille possibilità, capace di trovare valide alternative nelle attività di produzione, che passano dalle reti da pesca nella bella stagione ai frantoi con l’arrivo dell’autunno. Nell’incontro moderato da Tommaso Sussarello, Giuseppe Izza ha ricordato che il salto di qualità fu fatto nel 1624, quando il vicere Giovanni Vivas portò in Sardegna una cinquantina di maestri innestatori di ulivo provenienti da Valencia e Maiorca, che insegnarono l’arte dell’innesto in tutta l’Isola. Furono introdotti gli innesti di varietà spagnola, conosciuta oggi come “bosana”. Fu una vera rivoluzione, considerato che prima di allora si era prodotto solo olio di olivastro e di lentischio.

Il territorio di Alghero seppe sfruttare questa opportunità, dando avvio ad un periodo felice che permise lo sviluppo della “llua”, una condizione fisica e mentale difficile da definire, che si avvicina al concetto del “dolce far niente”. I Savoia proseguirono in questa politica di incentivi, accordando addirittura titoli nobiliari a chi avesse coltivato oltre 4mila piante di olivo. Giovanni Fancello ha invece fatto notare come la pastorizia ad Alghero sia sempre stata presente in maniera molto limitata. Non allo stesso modo i suoi prodotti (provenienti dai centri limitrofi quali Villanova, Olmedo, Ittiri o Thiesi) frutto di scambi con i prodotti della pesca. Appare significativo che dai documenti risulti come, nella sua spedizione per Algeri, passando per Alghero, l’imperatore Carlo V portò via di tutto, botti di vino, maiali, frutta secca e tanto altro, ma nemmeno una pecora.

Invece, Torquato Frulio ha affrontato il percorso della marineria algherese attraverso l’analisi del cibo dei marinai, mettendo a confronto passato e futuro dell’alimentazione locale. Secondo Frulio, bisognerebbe recuperare le varietà legate alla pesca costiera, molte delle quali sono andate perdute negli ultimi anni a causa di diversi fattori come la pesca intensiva ed il riscaldamento dei mari. Non è stato trascurato il tema della salute. Si è parlato della comparsa dell’anisakis, parassita del pesce presente ovunque, ed è stato fatto un invito al consumo di pescato locale, più sano non solo per mancanza di inquinamento, ma anche perché arriva naturalmente più fresco in tavola.
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