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Carlo Mannoni 12 giugno 2016
L'opinione di Carlo Mannoni
La carità e la fredda ragionevolezza


Due uomini attraversano, camminando poco distanti l’uno dall’altro, un ponte in legno sospeso su una palude infida e limacciosa. D’improvviso le assi del ponte si sfaldano ed il manufatto viene giù di schianto trascinando con se, nelle fangose acque, i due malcapitati. Questi, completamente immersi nella fanghiglia, che ne ha travisato le sembianze, rischiano di essere inghiottiti dalla melma. Richiamate dal fragore del crollo e dalle disperate invocazioni d’aiuto dei due, accorrono subito alcune persone. La situazione è drammatica perché i due, annaspando, si sono allontanati l’uno dall’altro e dalla riva. D’un tratto spunta una corda e bisogna decidere chi soccorrere per primo. Si decide per quello più crisi, il più lontano, che sta per scomparire definitivamente nel fango.

Questi, stremato, riesce con un ultimo sforzo ad afferrare la corda che gli è stata lanciata e viene così trascinato a riva. Subito dopo anche il secondo malcapitato viene tratto in salvo. E' la storia di due esseri umani uniti dalla momentanea sventura ma tanto distanti per origini e cultura. Il primo è un immigrato che viene da un paese dell’Africa. Il secondo è, invece, un abitante del posto. Ci si accorge della differente etnia dei due individui solo quando essi vengono rifocillati e ripuliti. Il fango aveva inizialmente annullato ogni diversità tra i due, ed il primo ad essere salvato è stato l’immigrato, quello in maggior pericolo. La carità, in questo caso, ha prevalso oggettivamente sulle convinzioni degli uomini e non ha fatto distinzioni tra immigrati e concittadini in difficoltà.

Immaginate una seconda storia, che lascio volutamente senza fine, dove tutto accade, inizialmente, come nella prima. In questa, però, le fangose e melmose acque della palude sono sostituite da quelle limpide di un fiume che scorre impetuoso verso valle. Nella vicenda i soccorritori sanno chi hanno di fronte e spetta a loro decidere chi tentare di salvare per primo, il concittadino o l'immigrato, sapendo che forse il secondo, in questo caso, potrebbe non farcela. In questa nuova storia la carità sta per essere esercitata non oggettivamente, come avvenuto nella prima, ma secondo criteri di ragionevolezza, richiamati dalla recente intervista del vescovo di Sassari, Monsignor Atzei.

Ma, c'è da chiedersi, di quale ragionevolezza si parla? Forse di quella che esprime con tanta sicurezza il principio di "prossimità pratica", citato dal vescovo, per cui debbo essere caritatevole privilegiando innanzitutto il mio concittadino più vicino e poi via via gli altri più lontani, sino agli immigrati, gli ultimi, evangelicamente parlando? Ma, c'è ancora da domandarsi, se la "prossimità pratica" non sia, invece, quella in cui il bisogno si manifesti oggettivamente, in tutta la sua drammaticità ed attualità, davanti all'uscio della nostra casa, senza far distinzioni tra gli uomini in base alla provenienza ed al colore della pelle. Possiamo essere, al cospetto di tali avvenimenti, così freddamente ragionevoli? E, d’altronde, non fu forse irragionevole lo stesso Gesù Cristo davanti agli occhi dei Romani e dei sacerdoti del Sinedrio?


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